La superficie di Venere

 

Venere presenta un crescente interesse per gli scienziati che cercano di comprendere l'origine e l'evoluzione della Terra. I due pianeti presentano infatti spiccate somiglianze quanto a dimensioni, composizione e distanza dal Sole, eppure hanno seguito cammini evolutivi completamente diversi che hanno reso il primo un inferno sterile e il secondo un paradiso ecologico. Ma per capire come un pianeta potenzialmente ospitale abbia potuto trasformarsi in uno dei luoghi più ostili del Sistema Solare occorreva studiarne la superficie e spiegarne la geologia. Purtroppo Venere è perennemente ricoperto da un'impenetrabile coltre di nubi, che impedisce completamente la visibilità del suolo, e per questo, fino agli anni '60, gli astronomi si sono limitati a studiarne l'atmosfera.

Il velo si squarcia

Un'autentica rivoluzione si ebbe con il progredire della radarastronomia: l'antenna di 300 m di Arecibo (Porto Rico), operante alla lunghezza d'onda di 70 cm, quella di 64 m di Goldstone (California), operante a 12,5 m e quella di 43 m di Haystack (Massachusetts), operante a 3,8 m, spianarono infatti la strada all'uso di potentissimi radar per illuminare la superficie di Venere e ottenere degli echi dai quali fosse possibile, grazie a complesse elaborazioni al calcolatore, ricostruire delle vere e proprie immagini del suolo. Naturalmente, a causa delle enormi distanze tra i pianeti, immagini radar di buona qualità potevano solo essere ottenute solo quando Venere veniva a trovarsi in congiunzione inferiore, il che si verifica ogni 19 mesi circa. Purtroppo, a causa dell'enigmatica risonanza tra il periodo di rotazione di Venere e quello orbitale della Terra, quando i due pianeti si trovano alla minima distanza il primo rivolge sempre lo stesso emisfero verso il secondo, il che ha impedito una mappatura radar di tutta la superficie. Questa situazione mutò radicalmente il 4 dicembre 1978, allorché la sonda americana Pioneer Venus Orbiter entrò in orbita attorno a Venere e cominciò, tra le altre cose, una sistematica mappatura del suolo con un piccolo radar altimetro. Con i dati raccolti nel corso di 18 mesi fu possibile realizzare una mappa topografica di gran parte del pianeta tra i 730 nord e i 630 sud con una risoluzione di 75 Km. Certo i potenti radar basati a Terra potevano arrivare anche alla risoluzione di 1-2 Km, ma era la prima volta che si disponeva di una visione d'insieme della superficie. La missione del Pioneer Venus Orbiter fu estremamente proficua, e la piccola sonda è bruciata nell'atmosfera di Venere l'8 ottobre 1992 dopo circa 14 anni di lavoro quasi ininterrotto, un primato assoluto per il satellite artificiale di un pianeta. Il 10 e il 14 ottobre 1983, rispettivamente, due sonde sovietiche, Venera 15 e 16, entrarono in orbita per completare la mappatura radar dell'emisfero nord (dal polo fino a 300 nord) con una risoluzione confrontabile quella raggiunta dai migliori radar terrestri (1-2 Km). Ma un decisivo salto di qualità si ebbe il 10 agosto 1990 con l'entrata in orbita della sonda americana Magellan, destinata a ottenere immagini radar di almeno il 70% della superficie di Venere con una risoluzione al suolo migliore di 500 metri. Dopo ben quattro cicli di mappatura, il 99% della superficie è stato osservato e lo studio geologico del pianeta è ora in fase di rapida evoluzione.

La topografia globale

Gran parte di Venere è ricoperta da una pianura ondulata di elevazione relativamente uniforme. Di fatto il 60% della superficie non si discosta per più di 500 metri dal raggio di riferimento di 6051 km. Le deviazioni topografiche più pronunciate tendono verso l'alto: il 20% della superficie si eleva infatti oltre 1 km al di sopra della quota di riferimento, mentre meno dell'1% si abbassa di oltre 1 km rispetto ad essa. La regione più elevata (circa l1 km di quota) si trova in corrispondenza del Monte Maxwell (64° nord, 2° est), mentre la depressione più profonda (-2 Km) è stata misurata in Diana Chasma (14° sud, 156° est).

La distribuzione delle elevazioni su Venere contrasta nettamente con quella osservata sul nostro pianeta, che presenta due picchi distinti in corrispondenza delle pianure abissali e dei continenti. E come se su Venere esistesse solo crosta di tipo continentale, mentre mancherebbe l'analogo della crosta di tipo oceanico. Le montagne osservate sul pianeta avrebbero quindi avuto un'origine diversa da quelle terrestri. Sulla base della topografia, la superficie può essere suddivisa in tre vaste province geologiche: le terre basse, le pianure ondulate e le terre alte.

Le terre basse includono il 27% del territorio che si trova al di sotto del raggio di riferimento. Il bacino più esteso, Atalanta Planitia (65° nord, 165° est), copre un'area approssimativamente uguale a quella del Golfo del Messico e potrebbe essere una pianura vulcanica ricoperta da sedimenti trasportati dai deboli venti superficiali.

Le pianure ondulate, che includono tutte le aree con un'elevazione compresa tra 0 e 2 Km, coprono il 65% della superficie del pianeta. Caratterizzate da pendenze molto dolci, sono segnate sia da crateri di origine meteoritica che da formazioni di probabile origine vulcanica

Le terre alte, infine, si concentrano in tre aree con le dimensioni di un continente terrestre: Ishtar Terra, Aphrodite Terra e Beta Regio. Sebbene l'origine di queste formazioni non sia ancora chiara, potrebbe trattarsi di giganteschi sollevamenti di carattere vulcanico, simili alla regione Tharsis su Marte.

I dati raccolti dalla Magellan suggeriscono che l'85% della superficie è ricoperta da estese pianure laviche, mentre il restante 15% consiste di terreno caotico ed elevato, molto fratturato e percorso da complessi sistemi di faglie. E poiché su Venere non si è probabilmente innescata una tettonica a zolle, parte della crosta originaria potrebbe essersi conservata proprio nelle aree più alte.

 

 Torna alla pagina di Andromeda